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Una storia gentilmente offerta da Trenitalia

Pubblicato venerdì 14 novembre 2014 alle 16:11:51 - By Marco Romandini

 

Premessa: questo non è un articolo e non è in fondo nemmeno un reportage. È semplicemente un modo creativo di passare il tempo gentilmente offerto e reso possibile “grazie” a Trenitalia. È però una storia, perché come in tutte le storie c’è un protagonista (Io) la sua aspirazione (raggiungere Milano) e l’ostacolo (Trenitalia) che crea il conflitto e manda avanti la trama.

 

Mi trovo a casa, nelle Marche, devo tornare a Milano. Arrivo in stazione quando mancano dieci minuti, per una volta sono in orario. È piena di giovani universitari che approfittano dell’offerta “Cartafreccia” per partire oggi, proprio come me: 34 euro anziché quei 50-60 classici equivalgono almeno a un paio di drink guadagnati. Un ragazzo ride e scherza con gli amici che sono andati a salutarlo: per lui è l’inizio di una nuova grande avventura. Con la sua fresca laurea in tasca è pronto per spiccare il volo e dice che tenterà di bussare a qualche porta. Auguri. Dice anche che ha scelto quella città perché lo entusiasma la vita notturna con i suoi party e le modelle. Ha la baldanza del ragazzo di provincia che non ha ancora fatto conoscenza con i tritacarne metropolitani: cioè quelli in cui entri come persona, con un tuo carattere e i tuoi valori, vieni pressato ben bene, e esci lattina con un numero, conserva da tenere al buio nello scantinato di qualche ufficio. Se va bene.

 

ATTENZIONE: IL TRENO XXXXX VIAGGIA CON CIRCA 15 MINUTI DI RITARDO.

 

Contrattempo fisiologico, penso, controllando l’orario del cambio a Bologna. Ho 38 minuti di tempo, dovrei farcela. Il ragazzo continua a elogiare Milano: dice che c’è stato una volta, ospite per tre giorni da un’amica, e si è divertito tantissimo. Alla mia destra un signore di circa settant’anni in costume, petto nudo e ciabatte, attende sui binari. Sembra un film di Ciprì e Maresco, ma è tutto vero e qui è normale: la giornata è bella… fanculo la maglietta, avrà pensato. Magari sta aspettando qualcuno o forse no, vallo a sapere.

 

ATTENZIONE: IL TRENO XXXXX VIAGGIA CON 20 MINUTI DI RITARDO

 

satira trenitalia

Vignetta di Roberto Mangosi

 

 

Faccio un rapido calcolo: 38-20=18. Ho ancora tempo utile.

 

SCUSI

 

A dirlo è una bella ragazza di circa vent’anni, mora, snella e con tutti i suoi perché. Ma già a sentire il “Lei” mi girano le palle perché mi fa sentire vecchio. Oggi porto pure jeans e All Star, mi sento ancora giovane. Sarà proprio la faccia. O forse perché sono stanco, sì sarà per quello.

 

HA DA ACCENDERE?

 

SÌ, TIENI

 

Tiro fuori l’accendino e lo avvicino alla bocca del fiorellino che me l’ha chiesto. Ma quello “scusi” instaura una barriera generazionale, e alla faccia dei Berlusca, di Briatore e del “Old guys rule” ne sono conscio.

 

ATTENZIONE: IL TRENO…

 

Prima di annunciare i 30 minuti di ritardo, all’annunciatrice stavolta scappa anche da ridere. Io invece soffoco una mezza bestemmia, o forse non ci riesco perché la ragazza mi guarda strano, saluta e se ne va. Ora ho solo 8 minuti. Con me ho due valigie, nessuna con le ruote. Sono borse a tracolla, sembro un reduce del Vietnam. Un bel problema, con 8 minuti. Mentre penso a dei metodi per rendere più agile la mia corsa, arriva finalmente il treno. Quando mi passa davanti, noto la gente in piedi sul corridoio e mi sento male. Per fortuna era solo l’apparenza, in realtà dentro la situazione è abbastanza tranquilla. Riesco a sedermi senza troppi problemi, non prima di essermi liberato del classico “portoghese” che occupava il mio posto. Dopo una mezz?oretta intercetto il passaggio del controllore donna: mora, magra, carina ma la divisa da maschietto e i capelli legati dietro le conferiscono un aspetto un po’ androgino e anche arcigno, spigoloso, duro. La voce però è soave. Decido di fermarla e scambiarci due parole.

 

MI SCUSI, QUANTO RITARDO ABBIAMO? HO LA COINCIDENZA DA BOLOGNA.

 

SÌ, UN ATTIMO CHE CONTROLLO.

 

Mentre preme pulsanti sul suo aggeggio, cerco di immaginarmela senza divisa, con i capelli sciolti, fuori dal treno, con il seno finalmente liberato da quella camicia opprimente che soffoca la sua femminilità. Ma il compito è arduo, e comunque lei trancia subito i miei loschi pensieri con un’occhiata e un sorriso troppo professionali.

 

MI DISPIACE SIAMO TRENTA MINUTI IN RITARDO, VEDIAMO SE RECUPERERÀ QUALCOSA, SE NO DOVRÀ PRENDERE IL PROSSIMO.

 

satira trenitalia

Vignetta di Roberto Mangosi

 

 

Non approfitto del momento buono per inveire contro il malfunzionamento diventato ormai marchio di fabbrica dell’azienda Trenitalia. Potrei urlare vantando i miei diritti da cliente, ma preferisco lasciar correre e tornare alla mia occupazione: fissare il sole a occhi chiusi come fosse la DREAM MACHINE di Burroughs e Gysin. Cobain pare si fosse suicidato dopo un’eccessiva esposizione. Non un precedente allettante, ma comunque fissava il sole anche Nostradamus per predire il futuro. A me quello non è mai riuscito, anzi sono tre mesi che non vinco una scommessa (mentre scrivo questo, non soffoco la bestemmia).

 

Dopo un po’ la campanella dell’altoparlante mi risveglia dallo stato psichedelico che mi ero creato:

ATTENZIONE, PER I VIAGGIATORI DIRETTI A MILANO, IL TRENO È AL BINARIO 17, STAZIONE NUOVA.

 

Stazione nuova? Che è la stazione nuova? Guardo verso l’uscita: c’è già ressa. Con il treno in ritardo di mezzora, la gente si è lanciata in prima fila ed è pronta a scattare come sui blocchi di partenza di una pista d’atletica. A proposito, avrei bisogno di doping, ma non tanto per la corsa, per quella ce la posso fare lo stesso. Il treno rallenta mentre si forma una coda sovrumana, ma riesco a sgattaiolare tra le valigie nel corridoio e mettermi in posizione. Se con queste due borse mi viene un infarto, penso, ci resto secco e manco posso denunciare Trenitalia. Ecco che si ferma. Meno cinque, quattro, tre… Fermo. Il solito imbecille che non riesce ad aprire la porta dà inizio alle urla imbestialite dei passeggeri. Poi finalmente si apre, grazie all’artiglio di un inferocito signore di mezz’età che con una spallata si lancia sul bottone in un estremo gesto di sopravvivenza. La coda inizia a muoversi, mentre il capofila quasi viene scaraventato sul marciapiede. È un fuggi fuggi, come se il treno stesse prendendo fuoco. Nel delirio podistico incrocio anche il ragazzo con la laurea in tasca, mentre incede con la schiena dritta e passo svelto ma pesante. Sigaretta in bocca. Mantiene ancora un certo un certo aplomb perché non vuol perdere la baldanza. Mi ricorda “un uomo da marciapiede” di James Leo Herily.

 

Ta-clic, ta-clic, ta-clic, dicevano gli stivali al cemento, intendendo POTERE POTERE POTERE.

 

Solo che questo al posto degli stivali, indossa scarpe da ginnastica enormi. Per un attimo penso ai suoi sogni e li paragono a quelli del protagonista del libro. Spero non faccia la stessa fine, anzi non me ne frega niente. Tanto, chi lo conosce. Mentre faccio questa considerazione, vedo che per arrivare al binario 17 mi tocca scendere rampe infinite di scale: ecco cos’era la “stazione nuova”, binari sotterranei. Mentre precipito all’Inferno, penso che lì non potrò fumare, e sono quattro ore che non lo faccio. Per un attimo il pensiero corre al ragazzo da marciapiede: stava fumando, ci aveva visto giusto. Scendo sempre più in quell’inferno di cemento anonimo che avrebbe eccitato Ballard al punto da scriverci un romanzo, anziché queste due stronzate come me. Alla fine arrivo nella famosa stazione nuova Binario 17, che altro non è che una specie di stazione metropolitana più grande e più brutta, con il cemento grigio a fare da unico colore. Qui gente disperata si ammassa sul mio binario, anime in attesa di Caronte, mentre sul marciapiede dell’altro, binario 18, c’è una fiumana di gente che sta aspettando il treno per Napoli, ovviamente in ritardo. Guardo i miei futuri compagni di viaggio, mi sembrano pochi e non c’è nemmeno il ragazzo da marciapiede. Poi guardo il cartello luminoso: non c’è scritto niente. Niente. Nemmeno un’indicazione di ritardo. Mi avvicino a una coppia che scherza e gioca, incurante di quest’ambiente asettico e ostile e del fatto che non ci sia nemmeno un treno annunciato.

 

SCUSATE, MA IL BINARIO PER MILANO È QUESTO?

SÌ SÌ È QUESTO!

 

E COME CA… COM’È CHE NEL TABELLONE NON C’È SCRITTO NESSUN TRENO?

 

A quel punto guardano anche loro e scoprono l’anomalia. Si guardano interrogativi, poi un po’ preoccupati. Poi guardano me.

 

NON SO FORS…

 

ATTENZIONE: IL TRENO XXXX DIRETTO A MILANO VIAGGIA CON… 60 MINUTI DI RITARDO PER OCCUPAZIONE DEI BINARI DA PARTE DEI MANIFESTANTI. CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO.

 

satira trenitalia

Vignetta di PV

 

 

Non è solo l?assurdità del “occupazione dei binari” che mi fa imbestialire. Piuttosto quella pausa prima del 60, forse era per controllare meglio l?informazione, ma a me è sembrata la suspense di un presentatore di un quiz a premi. E quando vedo la coppia tornare ai loro giochini, incuranti della cosa, mi viene da impazzire. Mi giro e dietro di me altra gente parlotta tranquilla. Insomma, sembro l’unico ad avere le palle girate per una cosa che EFFETTIVAMENTE dovrebbe far girare le palle. Penso alla situazione del Paese e al fatto che è tutto normale. Potrebbe esserci un’eventuale rivoluzione da parte maschile solamente se tolgono il campionato di calcio. Da parte femminile non so, forse i parrucchieri o i saldi. Mi sento talmente incazzato che mi verrebbe voglia di saltare come un coniglio psicopatico sui binari da una parte e l’altra e urlare “Siete vivi?????”. Mi sento in un format, in un sogno, anzi un incubo, dove la gente si muove autonomamente dalla situazione. Inoltre non c’è il ragazzo da marciapiede e questo mi fa girare ulteriormente le palle: il tizio non solo è riuscito a fumare, ma si è anche evitato tutto questo sbattimento e ora sarà seduto comodo al bar a pensare ai suoi orizzonti di gloria. A proposito, devo assolutamente fumare.

 

Avvicino un operaio della ferrovia che sembra Hulk Hogan e gli chiedo dove posso farlo in quella bara di cemento. Lui mi risponde sottovoce con pesante accento siciliano e tono epico:

VAAAAI IN FOOONDO ALLA STAZZZIOOOOONE E POI BUTTA LA SIGARETTA SUI BINAAAAAAARI

 

Resto colpito e messo un po’ a disagio dal tono di Hulk, e rispondo con un timido ok, poi guardo anche dove finisce la stazione e… non esiste. Saranno 300 metri. Decido di risalire, anche perché 60 minuti nell’inferno di Ballard non ce li voglio proprio passare. Riprendo le scale mobili. Salgo lungo quel quadro di Escher, attraverso un altro anonimo bunker grigio e sbocco sul primo binario. Individuo il bar e prendo posto in fila. Davanti a me una signora non trova le monete giuste nel borsellino provocando la reazione scontrosa della cassiera, tanto che quando arrivo io la trovo nera. Non è il caso, baby. Oggi non è proprio il caso. Relax yourself. Ordino una birra, un caffè e un?acqua gassata. Finisco il tutto, esco, do un?occhiata al tabellone e torno dentro a prendermi un?altra birra. Faccio la spola per una quarantina di minuti, poi mi rituffo nell?inferno di cemento. Arrivo al binario, devastato dal peso delle borse ma eccitato di prendere finalmente quel treno, che per fortuna arriva. Individuo la carrozza giusta e salgo, dieci minuti d?attesa in corridoio aspettando che quelli di fronte a me si sistemino, raggiungo il mio posto e trovo un altro “portoghese”.

SCUSA, QUELLO È IL MIO POSTO.

 

AH, PERCHÉ IO HO PERSO LA COINCIDENZA E MI HANNO FATTO SALIRE SU QUESTO. MI HANNO DETTO DI METTERMI DOVE MI PAREVA.

 

BENE, ALLORA METTITI DOVE TI PARE.

 

Il tizio si alza sbuffando e mi cede il posto. A fianco a me trovo un ragazzo biondo, alto, vestito elegante, con un?aria decisamente non italiana. Sembra una specie di agente segreto del MI5. Guarda dritto avanti a sé tenendo le gambe accavallate, non muove un muscolo. Una statua. A un certo punto faccio per alzarmi chiedendogli scusa, lui anziché comprendere che dovevo andare in bagno, resta seduto e mi guarda. Restiamo così una decina di secondi, con me in piedi proiettato sopra la sua figura e lui impassibile. Vado di “sorry”, lui si guarda intorno e alla fine capisce. Si alza e mi lascia passare. Quando torno dal bagno lo trovo ancora in piedi. Manca poco all?arrivo, quindi decido di prendere le borse e aspettare direttamente all?uscita. Il tizio resta in piedi.

Lo guardo.

 

SIEDITI PURE, RESTO QUI, TANTO SIAMO ARRIVATI.

 

Mi guarda.

PLEASE - indicando con un gesto la poltroncina.

 

Mi guarda.

 

Continuo a indicare con il palmo rivolto verso l?alto la poltroncina.

PLEASE

 

Mi guarda.

 

A un certo punto capisco: dev?essere tedesco. Solo un tedesco è così rintronato. Ma in tedesco so solo Achtung, Also Spracht Zarathustra e Sturm und Drang. Nessuna delle tre va bene per l?occasione. Lascio stare, mentre lui continua a guardarmi restando in piedi. È tutto così assurdo che Beckett ci avrebbe scritto un?opera teatrale anziché queste quattro stronzate.

 

Comunque. Finalmente arriviamo in stazione. Il treno si ferma e stavolta nessun problema con la porta. Il tedesco resta seduto come pezzo d?arredamento del treno, io scendo e mi guardo intorno per intercettare il ragazzo da marciapiede. Volevo leggere il suo entusiasmo sperando in una sorta di osmosi energetica, invece niente. Camminando sul marciapiede incontro coppie che si baciano, e il pensiero va al mio cane. È riuscito laddove io al momento ho fallito. La relazione. Gli abbiamo portato una cagnetta, e appena l?ha vista le è saltato addosso. Faceva tutte mosse eccitato, cercando di cavalcarla. All?inizio dalla parte del muso, poi ha capito. Io lo prendevo in giro e invece qualche mese dopo è diventato papà di due cagnetti. Nel giro di tre giorni ha fatto tutto quello che doveva fare. L?ha conosciuta, l?ha coinvolta, l?ha messa incinta. Ho notato anche un certo sguardo di sfida quando lo prendevo in giro, sapeva già di vincere. E ha vinto. A perdere per il momento sono io. Però sono arrivato a Milano.

 

La storia finisce così, con l?happy end del protagonista. C?è dell?altro, ma la mia calligrafia a questo punto risulta illeggibile, va bene così.

 

Marco Romandini

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